Il cardo gobbo: unico nel proprio genere

Il cardo gobbo: unico nel proprio genere

È l’insostituibile compagno di un prelibato pinzimonio per amanti della tradizione culinaria, la bagna caoda (salsa piemontese a base di acciughe, olio e aglio); è il principe degli ortaggi invernali, di colore bianco, dolce e croccante, l’unico del proprio genere che si può mangiare crudo: è il cardo gobbo di Nizza Monferrato.

Perché “cardo gobbo”?

La definizione di “cardo gobbo” deriva dal tipo di coltivazione cui è sottoposto per superare la rigidità dell’inverno. Al raggiungimento del massimo sviluppo viene parzialmente sotterrato: in questo modo la pianta, nel tentativo di cercare la luce, si curva verso l’alto assumendo la caratteristica forma gobba. Questo trattamento permette al vegetale di superare i mesi più freddi e, in particolare, rende il gambo bianco, più tenero e delicato al palato.

Area di produzione è la Valle del Belbo astigiana, lungo le sponde del fiume tra Nizza Monferrato, Incisa Scapaccino e Castelnuovo Belbo. Qui i terreni sono sabbiosi e quindi adatti alle colture di questa pianta, che scientificamente è chiamata Cynara cardunculus e che potrebbe essere l’antenato del carciofo (Cynara scolymus). Cynara si riferisce al colore delle foglie, che nella parte inferiore sono verde cenere. Le origini del cardo vanno ricercate nel Nord Africa, e l’ortaggio era già noto ai Greci e ai Romani.

Storia e tutele

Oggi il cardo gobbo di Nizza Monferrato fa parte dell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani della Regione Piemonte nonché dei Presìdi di Slow Food. Il disciplinare di tutela prevede solo l’utilizzo della varietà Spadone, la più pregiata, e che la coltivazione sia esclusivamente manuale. Non si possono inoltre impiegare fertilizzanti, erbicidi o antiparassitari chimici. Il Presidio difende anche la figura del “cardarolo”, personaggio mitico, celebrato tra i protagonisti della storia della Val Belbo.

Questa prelibatezza è protagonista fin dal Settecento della cucina piemontese, come testimonia il primo manuale sulle cucine regionali italiane, Il cuoco piemontese perfezionato a Parigi (Torino, 1776). Non solo: l’abbinamento con l’acciuga si ritrova nei cosiddetti “cardi di re Carlo Alberto”: passati in padella con burro, acciuga, spezie miste e serviti con parmigiano grattugiato (ottimi anche gratinati con la besciamella, al forno con il formaggio o fritti). Il cardo gobbo è pure un buonissimo ingrediente per zuppe, risotti oppure flan e torte salate. Una chicca? La crema di cardi in cui intingere le gallette di grano saraceno. E, volendo esagerare, l’accostamento con la fonduta di formaggio o le uova strapazzate, impreziositi da una grattata di tartufo.

E ora perché non sedersi a tavola?

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